Italiano per stranieri
Roma via di San Saba 19. Sopra il portone dove si svolgono le lezioni della scuola di italiano per stranieri Penny Wirton gestita dagli scrittori Eraldo Affinati e Luce Lenzi trovo la seguente citazione di Kafka: “Qui uno non aiuta, ma cerca aiuto, e da questo lavoro si può ricavare più miele che da tutti i fiori di Marienbad”. A leggere queste poche righe si ha la netta sensazione che varcata la soglia niente sarà più come prima. Qualcosa ti verrà rubato e qualcosa donato. Non so in che proporzione. Per fortuna la porta è ancora chiusa e la zona deserta. Purtroppo o per fortuna l’attesa dura poco. Non appena mi rigiro verso la strada ecco comparire dal nulla il gruppo dei partecipanti al completo, con Eraldo Affinati e sua moglie Luce in testa.
Uno dei gesuiti della parrocchia dove si tiene il corso, fa contemporaneamente capolino dal portoncino di legno e sorride ai ragazzi che si accalcano davanti a lui. Guardo l’ora. Sono appena scoccate le tre. Neanche un secondo sprecato. Una sorta di rifrazione di salutare economia divina. Prima di entrare Eraldo mi presenta agli altri. Mi stringono la mano con dolcezza e decisione. Hanno nomi canterini come uccelli: Nissar, Mustafà, Mariola, Giudith, Zacar, Irina, Soghar, ancora Irina. Provengono un po’ da tutto il mondo: Afghanistan, Bangladesh, Ucraina, Senegal, Ungheria. Alcuni di loro studiano alla Città dei Ragazzi di via della Pisana dove Eraldo insegna da tanti anni, altri arrivano da centri di prima accoglienza o da case famiglie come il Tata Giovanni di Porta Ardeatina, altri ancora sono venuti a conoscenza della scuola attraverso il filo sottile ma prezioso del passaparola, vera arma di sopravvivenza tra gli extracomunitari in Italia. Li accomuna un grande desiderio: veder riconosciuta la loro dignità di persone. Ma per farlo hanno bisogno di capire e di farsi capire. Di qui la scelta di confrontarsi con la lingua italiana.
La scuola ha già due anni e prende il nome dal protagonista di un racconto di Silvio D’Arzo, grande autore di racconti, fra i più belli della nostra letteratura, morto troppo presto e di cui Luce è un’attenta studiosa. Penny Wirton è un ragazzino che non ha conosciuto il padre. La madre per proteggere la sua fragilità di orfano gliene compone, giorno dopo giorno, un ritratto vivace, glorioso ma decisamente falso. Nel paese tutti conoscono la misera verità e solo quando Penny avrà accettato la vera identità di suo padre, potrà finalmente intraprende il difficile cammino del riscatto personale. “Ci sembrava di buon auspicio per cominciare la nostra avventura didattica riproporre questo nome”, interviene Affinati, autore di intensi romanzi sul tema della ricerca dell’identità e del viaggio come Campo del Sangue o La Città dei ragazzi (pubblicati da Mondadori). “I nostri allievi hanno alle spalle cumuli di miserie, guerre, sofferenze, esplose come tumori a devastare civiltà millenarie, dalla grande ricchezza culturale. Noi gli offriamo il nostro tempo, il nostro sapere, la nostra passione e uno specchio in cui far risaltare la bellezza dei loro tratti. A volte, quando, per esercizio, li ascoltiamo raccontare in italiano la loro storia di uomini e di donne, restiamo rapiti dalla profondità di certe immagini, dalla purezza di certe espressioni. È come se l’italiano si ribellasse alla morsa burocratica che lo imprigiona da centocinquanta anni e ricominciasse a respirare. E poi per me, figlio di un orfano insegnare ai questi ragazzi significa in qualche modo risarcire mio padre di quello che non ha avuto”.
La scuola è completamente gratuita. Non prevede limiti di età né di preparazione. Il materiale didattico viene fornito sul posto e i livelli di apprendimento sono tre. Gli insegnanti vi partecipano in modo volontario. Alcuni di loro, come Lina, professoressa di lettere in pensione, dopo una vita trascorsa tra Pascoli e Petrarca, scoperta questa ulteriore, imprevedibile, possibilità, vi si sono lanciati con rinnovato entusiasmo, pronti a rinunciare a tornei di burraco e gite al Pantheon pur di coltivare la passione per la quale sono nati e cresciuti.
Il metodo che viene seguito cresce e cambia lezione dopo lezione. Non segue parametri fissi. Come dice la stessa Lina : “solo quando stai a tu per tu con uno di loro ti accorgi di cosa hanno veramente bisogno”. Non sempre si tratta di una regola grammaticale, quasi mai di un accento sbagliato. Nella maggior parte dei casi sono dinamiche più nascoste, impercettibili, complicatissime. Allora saltano tutti i parametri, tutti i pregiudizi e due esseri umani, armati unicamente delle loro braccia, della loro bocca, si trovano a fronteggiare il gelido muro del silenzio per ricavarne una lingua di luce, una corrente di significato. In quel momento, e solo in quel momento, se hai giocato bene le tue carte, ti sarà possibile scoprire l’orgoglio di Nissar, l’afgano, che in neppure due mesi ha già imparato a usare il gerundio e quando glielo fai notare si contrae tutto come un serpente mitologico; o il sorriso nervoso di Irina, l’ucraina che la zeta, con la sua aspra durezza, non riesce proprio a scriverla e la sostituisce con una più delicata g, pur sapendo che potrebbe essere pericoloso far partire una legione, invece di una lezione; o la gioia quasi ferina di Daniela, la caparbia signora rumena che accompagna con una costanza monacale suo figlio Razvan a lezione e frigge quando lo vede alzare la testa prima di tutti durante il dettato.
L’ultima volta che sono andato a trovarli – a comporre definitivamente il mosaico delle genti – è arrivata Wang, una giovane cinese, accompagnata da una donna più anziana. Presa sotto l’ala protettiva di Luce, si è ritirata da sola in una stanza per cominciare la sua prima lezione di italiano. Quando la lezione è finita e l’insegnante si apprestava a salutarla, Wang le si è arrampicata sulle braccia e le ha rifilato un sonoro bacio sulla guancia. “E poi dicono che i cinesi non sono espansivi. Ci voleva una cinese per emozionarmi” ha detto Anna. “Questa è la vera rivoluzione che il novecento ha completamente mancato, la rivoluzione individuale, basata sulla fiducia, la comprensione e la dedizione all’altro”.
Ci intriga pensare che da qui, dalla tanto bistrattata lingua italiana e dalle sue virtuosistiche evoluzioni accademiche si possa partire per arrivare ad un linguaggio più vasto che abbia il sapore della solidarietà e della partecipazione. La Penny Wirton nel frattempo continua a mietere adesioni e consensi. Sono molte le richieste giunte da tutta Italia per affiancare l’iniziale esperimento romano. Genova, Milano, Torino, Reggio Calabria si propongono come altre sedi per questa scuola che ha come primo obiettivo l’incontro di volti e culture per tutte le generazioni. Tanti volontari sono già pronti a mettersi a disposizione.
C.S.