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L’ascesa del monte Fuji

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“L’11 agosto, la Mercedes bianca mi aprì lo sportello.
- Dove andiamo?
- Vedrai.
Non sono mai stata portata per gli ideogrammi, ma ho sempre saputo leggere i nomi dei luoghi. Questo talento mi fu molto utile nel corso delle mie peregrinazioni nipponiche. Perciò, dopo un lunghissimo viaggio, i miei sospetti vennero confermati:
- Il monte Fuji!
Era il mio sogno. La tradizione afferma che ogni giapponese deve aver scalato il monte Fuji almeno una volta nella vita, altrimenti non merita una nazionalità così prestigiosa. Io, che desideravo ardentemente diventare giapponese, vedevo in questa ascesa un trucco geniale per acquistare quell’identità. Tanto più che la montagna era il mio territorio, il mio terreno. […] Il destino, noto per il suo senso dell’umorismo, ha voluto che nascessi belga. Essere originaria del paese piatto quando appartieni alla stirpe zoroastriana è uno sberleffo che ti condanna a diventare una spia doppiogiochista”
[tratto da Amélie Nothomb, Nè di Eva né di Adamo, Voland s.r.l. 2007, traduzione di Monica Capuani].

Di questi tempi è rinfrescante pensare alle cime innevate del monte Fuji: “Alla fine avevo trovato un posto dal quale non appariva magnifico, per la semplice ragione che non si vedeva: la sua base. Altrimenti, quel vulcano è un’invenzione sublime, ed è visibile quasi ovunque, al punto che talvolta l’ho scambiato per un ologramma. Non si conta più il numero di siti sull’isola di Honshu dai quali si ha una vista superba del monte Fuji: sarebbe più facile contare i luoghi dai quali non si vede. Se i nazionalisti avessero voluto creare un simbolo unificante, avrebbero inventato il monte Fuji.”

Tante le città di Amélie Nothomb: figlia di un diplomatico belga, nasce a Kobe, in Giappone, nel 1967 e poi segue il padre in Cina, America, Bangladesh e in molti altri paesi.
Nel suo quindicesimo romanzo, che in Francia ha vinto il Prix de Flore 2007, l’autrice racconta con ironia le sue peripezie amorose con Rinri, il ricco fidanzato giapponese a cui è legata da un sentimento forte, ma non quanto quello che la avvince al paese in cui è nata e dove ha trascorso i mitici anni dell’infanzia.

S.S.

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