Un’estate in città: al museo immaginario

Non riesco a vedervi distintamente — siete solo vaghe ombre, per me. Ma so che siete lì, lo so. Posso quasi sentire il brusio dei pensieri e delle domande che formulate su di me, mentre passate accanto e vi avviate all’uscita.
Il mio nome? Ma che importanza ha, adesso, il mio nome? Non è l’essenziale, credetemi. Casomai, per conoscermi meglio, dovreste ascoltare il sogno che sempre più spesso mi capita di sognare negli ultimi anni.
Allora … sono in una stanza buia, priva di porte e finestre. Nessun rumore, nessun odore, nulla: solo buio profondo. Sto seduto e non grido, né tento la fuga — non c'è via di scampo, lo so. Poi da fuori avverto un suono, sempre più forte. All’inizio mi sembrano onde che rotolano su una spiaggia di sassi. Poi, ascoltando meglio, di colpo mi sento agghiacciare: non sono onde, ma mascelle che scricchiolano, denti che non smettono mai di stridere e bruxare.
(Il soffitto intanto s’abbassa, le pareti si stringono su di me).
La verità è che non ricordo il mio nome — anche se un giorno sono stato qualcuno, lo so. Ormai sono soltanto un numero d’inventario che, se proprio volete, vi dirò.
Scusate se i miei pensieri non seguono un filo logico, scusatemi davvero. Ma quel sogno mi sconvolge, ogni giorno di più — soprattutto quel bruxare, quel maledetto bruxare che mi ronza sempre in testa.
La pioggia gentile che, di maggio, stende un velo profumato sul volto. La sabbia fine e calda su cui vi posate dopo un bagno nel mare di agosto. La carezza di una mano tremante, i baci di un amante … Anche l'aria che respirate, sapete?, anche quella vi consuma. Forse persino i pensieri che pensate o quelli che altri posano su di voi.
È la legge inesorabile del Tempo.
Trascorrendo, scava via ogni cosa. Si potrebbero ricordare a questo proposito le splendide parole di quel filosofo …
?
In questo momento, però, mi sfuggono sia le parole che il filosofo.
Sì, come una lebbra il Tempo dapprima ha attaccato la superficie del mio volto, riempiendola delle cicatrici che vedete. Poi è venuto il turno del naso — sono i primi a cadere, i nasi, insieme ai padiglioni auricolari.
[...]
[cliccare qua per proseguire la lettura]