Vertigini in città: la Vienna di Sebald
Ci sono mille modi di camminare in una città.
Anzi, di più! Forse (soprattutto in una metropoli) le varianti sono infinite, come le voci dei suoi abitanti: per età, sesso, professione, cultura, temperamento, per infradito o tacchi alti, per pianta di piede e (soprattutto) pieghe di cervello e umore.
Affascinante, no?
Uno dei modi più affascinanti mi pare comunque la camminata di chi, per le vie della città, si sperde come se intorno avesse un deserto, o forse un labirinto.
È la prospettiva con cui vedrà Vienna il lettore che segua Sebald nelle pagine del racconto lungo “All’estero”:
“… ero partito per Vienna, nella speranza che, sotto nuovi cieli, sarei riuscito a superare un periodo piuttosto difficile della mia vita. A Vienna, però, subito dopo il mio arrivo, fu chiaro che quelle giornate, non più riempite dai consueti lavori di scrittura e giardinaggio, diventavano lunghissime e io non sapevo più – letteralmente – dove dirigere i miei passi”.
Per giorni e giorni, così, il protagonista esce dall’albergo e inizia a camminare, a sperdersi per infinite Strasse senza meta apparente.
Salvo però accorgersi in seguito, ricostruendo su una mappa il proprio vagabondaggio (come si interrogherebbe un oracolo per qualche mistero), che il Caso s’è ricomposto in un Segno geometrico e razionale: “una zona dai contorni nettamente delimitati e dalla forma a metà fra la falce di luna e la mezza luna”.
Anche da qui quel senso di Vertigine la cui contemplazione è uno dei motivi di fascino di questo racconto e degli altri due di cui il libro [W.G. Sebald, Vertigini, Adelphi 2003] si compone. Del resto, per chi l’affronta con quel passo, una città (poche pagine avanti capita anche a Venezia e Verona) diventa lo schermo su cui contemplare le proprie vertiginose proiezioni. In una delle più bizzarre, appare persino il Sommo Poeta!
“Una volta, nella Gonzagagasse, credetti perfino di ravvisare Dante… Alto un po’ più degli altri passanti, che tuttavia lo ignoravano, e con in testa il suo celebre cappuccio …”.
Per un abbinamento musicale che renda più lieve il ritmo malinconico di questi passi, consiglierei un altro prodotto della cultura tedesca: il Lied “Das Wandern” di Franz Schubert, inno puramente gioioso all’arte di sperdersi camminando.
L.S.