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Archivio di settembre 2007

Ancora sul mistero dell’acqua contaminata di Ancona

martedì 25 settembre 2007

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Interrompiamo le trasmissioni per una notizia che giunge ora in redazione. I normali controlli dell’acqua potabile, effettuati a campione dall’azienda municipalizzata dei servizi di Ancona, hanno isolato in alcune zone della città un agente batterico sconosciuto. Al momento sembrano escludersi sia la tossicità di tale agente per le persone che eventuali possibilità di contagio. L’équipe del premio Nobel giapponese per la biologia, Haruki Horyama, si sta già occupando degli accertamenti del caso tramite collegamento in videoconferenza con gli esperti della clinica di biologia dell’Università Politecnica delle Marche. L’azienda municipalizzata si scusa per le eventuali interruzioni del servizio di erogazione idrica. Ecco ora alcuni consigli del Ministro della Protezione Civile su come comportarsi: “Non c’è motivo di allarmarsi. In attesa degli esiti definitivi degli esami di laboratorio, è comunque consigliabile bere acqua imbottigliata. Evitare, in ogni caso, il contatto con la pelle, i capelli e qualsiasi tipo di inalazione”.

Vi ricordate il mistero dell’acqua contaminata nella città dorica? Niente panico: si tratta solo della traccia affidata ai partecipanti al primo corso anconetano di RaccontidiCittà, svoltosi nell’ormai lontano gennaio 2006!

I racconti dei partecipanti a quel corso sono da tempo stati pubblicati su questo sito, ma ai nove già presenti se ne sono aggiunti altri due, che pubblichiamo – con grandissimo piacere – qui di seguito.

Indice:

1. Il grande uomo (racconto di Tricia Lioni)
2. Camillo (racconto di Agnese Zammit)

(continua…)

La sesta tempesta (di Davide Giansoldati)

martedì 18 settembre 2007

Seguendo il nostro richiamo, sulle orme – o meglio, sulla scia – dei “tempestosi” racconti anconetani, ecco il gradito apporto di un partecipante al corso svoltosi a Milano lo scorso mese di maggio. Che aspettate a seguire il suo esempio e ad imbarcarvi anche voi? Sul bastimento di RaccontidiCittà lo spazio non manca.

Ma è di nuovo tempo di salpare: buona lettura dalla ciurma di RaccontidiCittà e… occhio ai venti!

Prologo
Da quel momento ad Ancona, per riferirsi a quello stranissimo evento, parlarono della “grande tempesta”. Anche se di una vera e propria tempesta, certo non poteva essersi trattato. Una tempesta dentro al porto, dove mai si è sentito?
Eppure quel boato improvviso, e poi quella scossa che aveva fatto vibrare a lungo le banchine, e poi quell’onda alta a coprire quel poco che rimaneva sotto il cielo improvvisamente naufragato in un’oscurità da interruttore spento per errore – o magari per uno scherzo? –, e poi tutti quegli spruzzi d’acqua, come se una nave fantasma avesse calcolato male le distanze – o i tempi, che poi è lo stesso – durante le manovre per l’approdo. Una nave fantasma, di sicuro, perché una volta calmatesi le acque – è proprio il caso di dirlo –, di navi maldestramente ormeggiate nessuno aveva visto neanche l’ombra.

Inizio
La stanza aveva le pareti bianche, un pavimento lucido e ben levigato mentre solide colonne sostenevano l’intera struttura e terminavano con degli elaborati capitelli corinzi; su un lato, una porta conduceva verso una sala più ampia, mentre sulla parte opposta la luce entrava da un balcone sorretto da quattro sensuali cariatidi.
Nel centro della stanza c’era un’enorme sfera dipinta con molteplici sfumature di blu e azzurri, verdi, gialli e marroni, qua e là piccoli punti rossi e ai due estremi delle zone più chiare, quasi bianche.
“Smettila! Quante volte ti ho detto che non devi infilare il dito nel mare Adriatico?” disse Giove al piccolo Nettuno sorpreso a giocare col Mappamondo, “lo sai che poi sulla Terra si scatenano tempeste e onde enormi.”
Poi, dopo un attimo di silenzio necessario per prender fiato, Giove tuonò “Non voglio un altro Tsunami! Ci siamo capiti?”
Già, lo Tsunami, Nettuno se lo ricordava bene…
Giove e Giunone era andati a festeggiare l’anno nuovo da Venere, “Perfetto!” pensai, ho tutto l’Olimpo per me, “ora organizzo un party con sirene, ninfe e tritoni, così ce la spasseremo.”

Olympic Pie!
Gli dei hanno il loro modo per comunicare tra di loro, anche oggi nell’era dei cellulari ed internet, preferiscono la telepatia: è molto più comoda e veloce e soprattutto è gratis.
Il giovane Nettuno non aveva quasi fatto in tempo a formulare l’invito che già l’Olimpo si era riempito di divinità di ogni rango e sorta.
Beh, forse aveva esagerato un po’, per fortuna che aveva circoscritto l’invito al mondo dei vivi, altrimenti si sarebbe trovato tra le palle tutti quei morti in piedi, per non parlare di Cerbero, che avrebbe trasformato il pavimento in un porcile con quelle sue “zampette” mostruose.

La festa stava andando alla grande, Nettuno aveva già puntato gli occhi su quella ninfa dagli occhi verde mare, quando un vociare alle sue spalle lo allontanò dai suoi appetiti sessuali.
“Per fortuna che siamo arrivati a ravvivare la festa!” biascicò Bacco accompagnato dai suoi fauni, “ambrosia e vino per tutti!”
Gli dei sono gli dei, il vino dei mortali su di loro non ha lo stesso effetto, ma anche loro hanno la loro soglia e, otre dopo otre, alla fine anche l’Olimpo assomiglia alla più squallida delle osterie.
Nettuno, come organizzatore della festa, era sempre il primo ad alzare il calice e a bere e, dopo il centesimo brindisi, avvolto in uno stato di ebbrezza e confusione, vedeva non una ma ben quattro ninfe dagli occhi verdi, “Meglio!” pensò tra sé e sé, “mi divertirò di più”.
La porta, o meglio quattro porte (come le vedeva Nettuno), si spalancarono tutte insieme e fece la sua comparsa Apollo a bordo della sua biga (Apollo amava sempre le entrate trionfali) e portava con sè non una ma ben quattro (sempre le solite quattro) torte!
“Apollo, di chi è il compleanno?”, chiese Mercurio.
“Beh, non vedi Mercurio che c’è una festa, sarà pure il compleanno di qualcuno no?”, ribadì Apollo (forse il troppo il sole gli aveva dato alla testa).
“Ahh ahhhhh”, replicò l’altro, come se gli avessero appena svelato la fine del mondo.
“Anzi”, continuò Apollo, “ora accendo anche le candeline” e la torta (o le quattro torte, a seconda di chi le stia guardando) si accese di luce.
“Nettuno, fratello mio, deve essere per forza il tuo compleanno visto che hai organizzato tu la festa, ecco qua la torta.”
“Ahh ahhhhh”, aggiunse Mercurio, come se gli avessero appena svelato la fine di Beautiful.
“Su soffia sulla torta, spegni le candeline!”
Nettuno, che ormai vedeva non solo quattro torte, ma anche quattro Apolli, non sapendo su quale soffiare, ebbe un vero colpo di fulmine: “le spengo tutte e quattro!”
Così fece quattro profondi respiri e poi soffiò con tutte le sue energie (che sono ben lungi dall’essere paragonabili a quelle degli umani) e non solo spense le candeline, ma scatenò tutti e quattro i venti (in questo caso, quattro veramente), le quattro torte finirono tutte in faccia ai quattro Apolli e… e poi accadde qualcosa di imprevisto…
Il soffio del vento di Nettuno si abbatté sul Mappamondo nell’altra stanza, scuotendolo da cima a fondo…

e tutto il mondo tristemente sa cos’è successo poi…

Le (per ora) cinque tempeste di Ancona

venerdì 14 settembre 2007

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Da sempre le tempeste fanno paura. Sconvolgono la quiete, mettendo in subbuglio apparenti stabilità. Eppure ci sono anche tempeste che salvano dal peggio o che travolgono in paradisi di piacere, rivolture che ci permettono di apprezzare la riconquistata serenità dopo che fulmini a ciel sereno o improbabili nevicate agostane l’hanno pesantemente minata. Ma, al di là dei fenomeni atmosferici, le tempeste più temibili sono quelle scatenate dai sentimenti, capaci di farci traballare come il precario tavolino di un qualsiasi Rico bar. E in ogni caso, come accade da che mondo è mondo in tutte le città di mare, le tempeste ci accompagnano per tutta la vita, se possibile anche oltre. Consapevoli di questo i nostri Autori, senza timore alcuno, sono pronti a salpare.

(Spunto, trama narrativa ed editing a cura di RaccontidiCittà)

 

Indice:

1. Neve d’Agosto (racconto di Luca Barbadoro)
2. Rebirth: il rompighiaccio (racconto di Agnese Zammit)
3. La danzatrice (racconto di Tricia Lioni)
4. Konstantinos (racconto di Marco Marinelli)
5. La nave fantasma (racconto di Silvia Seracini)

(continua…)

Vertigini in città: la Vienna di Sebald

giovedì 6 settembre 2007

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Ci sono mille modi di camminare in una città.
Anzi, di più! Forse (soprattutto in una metropoli) le varianti sono infinite, come le voci dei suoi abitanti: per età, sesso, professione, cultura, temperamento, per infradito o tacchi alti, per pianta di piede e (soprattutto) pieghe di cervello e umore.
Affascinante, no?
Uno dei modi più affascinanti mi pare comunque la camminata di chi, per le vie della città, si sperde come se intorno avesse un deserto, o forse un labirinto.
È la prospettiva con cui vedrà Vienna il lettore che segua Sebald nelle pagine del racconto lungo “All’estero”:

“… ero partito per Vienna, nella speranza che, sotto nuovi cieli, sarei riuscito a superare un periodo piuttosto difficile della mia vita. A Vienna, però, subito dopo il mio arrivo, fu chiaro che quelle giornate, non più riempite dai consueti lavori di scrittura e giardinaggio, diventavano lunghissime e io non sapevo più – letteralmente – dove dirigere i miei passi”.

Per giorni e giorni, così, il protagonista esce dall’albergo e inizia a camminare, a sperdersi per infinite Strasse senza meta apparente.
Salvo però accorgersi in seguito, ricostruendo su una mappa il proprio vagabondaggio (come si interrogherebbe un oracolo per qualche mistero), che il Caso s’è ricomposto in un Segno geometrico e razionale: “una zona dai contorni nettamente delimitati e dalla forma a metà fra la falce di luna e la mezza luna”.

Anche da qui quel senso di Vertigine la cui contemplazione è uno dei motivi di fascino di questo racconto e degli altri due di cui il libro [W.G. Sebald, Vertigini, Adelphi 2003] si compone. Del resto, per chi l’affronta con quel passo, una città (poche pagine avanti capita anche a Venezia e Verona) diventa lo schermo su cui contemplare le proprie vertiginose proiezioni. In una delle più bizzarre, appare persino il Sommo Poeta!

“Una volta, nella Gonzagagasse, credetti perfino di ravvisare Dante… Alto un po’ più degli altri passanti, che tuttavia lo ignoravano, e con in testa il suo celebre cappuccio …”.

Per un abbinamento musicale che renda più lieve il ritmo malinconico di questi passi, consiglierei un altro prodotto della cultura tedesca: il Lied “Das Wandern” di Franz Schubert, inno puramente gioioso all’arte di sperdersi camminando.

L.S.


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